Il commento a Milano Finanza
Ridurre la pressione fiscale Irpef è il desiderio di ogni Governo. Ma la storia dimostra che tra dire e fare, c’è di mezzo l’oceano.
È talmente onerosa che il suo percorso va costruito a tappe e concordato con Bruxelles (perché incide molto sui saldi di finanza pubblica).
Ecco cosa è successo dal 2022 ad oggi.
Per la manovra del 2022, con a capo Draghi, si ebbe finalmente la forza di iniziare questo percorso con il sostegno di tutti i partiti dell’arco parlamentare seduti al tavolo, tranne Fratelli d’Italia che stava all’opposizione.
La credibilità di Draghi fece sì che si avviasse. A differenza di quello che si era provato a fare nei due precedenti governi Conte.
Dunque, con la manovra 2022 arriva la riduzione da 5 a 4 scaglioni. E la conseguente riduzione della aliquota del 28% al 25%, per i redditi dai 15.000 ai 28.000 euro annuì, e aumento della percentuale dal 41 al 43 per i redditi più alti.
Ossia: sollievo per 15 milioni di persone.
La manovra del 2023 vede il primo Governo Meloni scegliere di proseguire il percorso avviato. Scelgono la fascia dei redditi tra 28.000 e 50.000 che comprende circa 6 milioni di persone: a loro viene ridotto di 2% l’Irpef.
Nel secondo anno di Governo Meloni il percorso prosegue e la manovra del 2024 continua a ridurre l’Irpef. Gli scaglioni passano da 4 a 3, in particolare per i contribuenti che hanno redditi da 15.000 a 28.000 euro anni, si riduce ulteriormente la % arrivando a 23. Quindi altri 15 milioni di cittadini che vedono ridurre la pressione fiscale nel giro di 2 anni.
Nel 2025 la manovra del Governo Meloni ha la forza di rendere strutturale (garantendola per sempre), quanto è stato fatto negli anni precedenti. Si mette al sicuro un percorso che è durato anni, e concentrato sulla necessità di ridurre continuamente il peso dell’Irpef, come mai nessuno era riuscito a fare.
E arriviamo alla manovra del 2026, quella che è appena stata varata. Un ulteriore sforzo che riduce lo scaglione del 35% al 33% per chi ha redditi tra i 28.000 e i 50.000 euro l’anno. Cioè il ceto medio, composto da 6 milioni di persone.
Alla luce di quanto analizzato, sono certa di poter dire senza essere smentita che, nessuno, dico nessuno, ha mai ridotto in modo così continuo e costante l’Irpef. Mai nella storia della Repubblica Italiana. Farlo tutto in una volta costa decine e decine di miliardi. Fatto a tappe invece è sostenibile.
Prima del Governo Draghi, c’erano 5 aliquote: fino a 15.000 = 23%, da 15.000 a 28.000 = 27%, da 28.000 a 55.000 = 38%, da 55.000 a 75.000 = 41%, da 75.000 oltre 43%.
Oggi, dopo il percorso che c’è stato, ci sono 3 aliquote: fino ai 28.000 = 23%, da 28.000 a 50.000 = 33%, da 50.000 oltre 43%.
Lasciatemi dire che sono abbastanza singolari le disquisizioni sulla progressività. Con 3 scaglioni è comunque garantita. In particolare perché la progressività esercitata sugli scaglioni fino a 50.000 euro annui si è minimamente ridotta nella manovra Draghi. Approvata da tutta la sinistra. È invece stata sicuramente annullata sui redditi alti, quelli dei ricchi. È questo il problema della sinistra? Oggi, fino ai 50.000 euro annui c’è quasi la stessa progressività che c’era negli anni 70-80.
E a nulla servono le battute sul numero di caffè che la manovra permette di prendere.
Chi guarda il dito e non la luna, non potrà mai tornare a governare questo Paese.
Solo chi vuole fare una opposizione ignorante, oggi attacca questo percorso. Una traversata, faticosa, davanti all’economia che rallenta per via delle guerre e del caro energia, ma che comunque non sacrifica le persone.
Per oltre 23 milioni di contribuenti dal 2022 a oggi si sono ridotte le tasse dell’Irpef.
Si deve solo dire bravi a chi con costanza, e in procedura di infrazione, ha seguito questo cammino.
Si poteva fare meglio? Certo, ma vale sempre per tutti.
Laura Castelli, presidente Sud chiama Nord, già vice ministro al Mef.
